“La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri”. Quando si scrive, si pensa (persino si invoca) alla guerra, pagine e pagine di storia sembrano dileguarsi con tremenda facilità. La soluzione – semplice, a portata di mano quando il luogo del conflitto è lontano – sta nel rispondere con nuova violenza nella comoda cornice di un confronto a viso aperto tra buoni e cattivi. Vladimir Putin, che stupido non è, a fine settembre ottiene l’autorizzazione all’unanimità dal parlamento a usare forze armate in Siria con l’obiettivo – apparente – di colpire l’ISIS. Dopo gli attacchi di Parigi, l’opinione pubblica riversa il proprio sentimento di rivalsa nel recente operato russo, idolatrando – letteralmente – il leader pluri-sanzionato dall’Unione Europea. Pur ignorando dettagli decisamente rilevanti.
Russia e Siria sono due paesi alleati da molti anni. Il regime di Bashar Hafiz al-Asad, presidente siriano dal 2000, è da tempo sotto pesante attacco delle forze ribelli, spesso finanziate dagli Stati Uniti d’America. Ottenuto il via libera del parlamento, la Russia comincia a colpire zone nord-occidentali del paese, occupate – non è un caso – da ribelli. Il governo russo sostiene invece di avere colpito postazioni dello Stato Islamico, ma in quelle zone (le province di Homs, Hama e Latakia) l’ISIS non è presente. La sensazione – viste anche le ingenti (nonché recenti) perdite dell’esercito siriano – è che l’obiettivo primario di Putin sia mantenere Assad al potere, colpendo anche gruppi di ribelli al di fuori di al Qaida e ISIS.
Nel caos siriano c’è anche un pizzico di ‘Guerra Fredda’. Il governo russo ci tiene – propagandisticamente parlando – a dimostrare come e quanto tenga ai suoi alleati, valore su cui l’America è inciampata più volte, anche di recente (vedi la primavera araba).
A questo proposito Marco Rubio, candidato Repubblicano alla Casa Bianca, ha detto:
«I russi cominceranno a fare delle missioni aeree in quella regione [in Siria, ndr], non colpendo solo l’ISIS ma con l’obiettivo di aiutare Assad. Poi andranno dagli altri paesi della regione e diranno, “l’America non è più un alleato affidabile, Egitto. L’America non è più un alleato affidabile, Arabia Saudita. Iniziate a fare affidamento su di noi”. Quello che stanno facendo è tentare di sostituirci come la più importante potenza in Medio Oriente, e questo presidente [Obama] lo sta permettendo.»
Alexei Pushkov, il capo della commissione Esteri al Parlamento russo, ha accusato Obama di “far finta” di bombardare l’ISIS promettendo un inasprimento della campagna militare russa. L’America – che non appoggia il regime di Assad – ha proposto in passato un piano di bombardamento contro l’ISIS, escludendo però qualsiasi coordinamento col governo siriano. Putin ha rifiutato quel piano.
Infine, ma non per importanza, la Siria è un tesoro economico non da poco: l’accesso diretto al Mar Mediterraneo, un ruolo nella gestione delle risorse energetiche, ma anche l’ingente business della ricostruzione fanno gola, e non poco, al governo russo. Il presidente Assad ha recentemente assicurato all’alleato che a rimettere in piedi un paese disastrato saranno compagnie rigorosamente russe. O che almeno queste riceveranno i migliori contratti. Si tratta di un business da 200 miliardi di dollari.
E mentre le dichiarazioni – molto ‘cinematografiche’ – dello stesso Putin sul terrorismo islamico creano proseliti in tutta Europa (“Vi cercheremo dovunque, vi troveremo e vi elimineremo”), andrebbe ascoltato con più attenzione l’avvertimento di Petro Poroshenko, presidente ucraino: “Un errore fidarsi di Vladimir Putin. Non aiuterà la pace”. Un grido che, come insegna la storia, resterà sicuramente isolato.
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