Qual è la situazione in Siria (e perché c’è aria di Guerra Fredda)

Qual è la situazione in Siria (e perché c’è aria di Guerra Fredda)

Con l’attacco di Vladimir Putin alla Turchia di Erdogan – rea di aver colpito (senza motivo, dice Mosca) il bombardiere russo Sukhoi Su-24 -, si riaccendono i riflettori sul dramma che da quattro anni attanaglia la Siria. Il dissenso verso Bashar al-Assad – esploso pacificamente nel 2011, represso con la violenza e oggi divenuto un conflitto armato – ha radunato diverse entità ribelli anti regime, attanagliate in una nazione fantoccio schiava di Damasco, privata in meno di quattro anni di qualsiasi valenza geopolitica. Per capire come e perché la Siria oggi sia ridotta in macerie, è necessario tornare proprio al 15 marzo del 2011, anche noto come “l’89 arabo’.

Tunisia, Egitto, Libia: l’effetto domino delle ‘primavere arabe’, nel 2011, sconvolge il palcoscenico storico-politico post seconda guerra mondiale del nord-Africa. La follia di Mohamed Bouazizi – autoincendiatosi in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia tunisina – accende web, media e civili, giungendo ben presto alla corte di Assad. Grazie ai social network migliaia di giovani si radunano protestando civilmente contro il governo, nella speranza che assuma caratteri maggiormente democratici. “Il muro della paura è crollato”, questo lo slogan duramente represso dal regime; sassaiole, auto incendiate, spari delle forze speciali, reintroduzione del coprifuoco, manifestanti uccisi, bambini arrestati: nasce l’Intifada siriana. In pochi mesi si scivola dalla contrapposizione regime-avversari allo scontro Stato-insorti, in quella che appare sempre più come una rivoluzione sociale morta sul nascere e destinata ad assumere i contorni tragici di una guerra civile.

A fine 2015, dopo anni di sanguinosi scontri interregionali, la Siria è uno stato diviso in quattro. Una Siria in mano ad Assad, una Siria dominata dai ribelli, una Siria succube dell’ISIS e una Siria controllata dalle milizie curde. A condire il conflitto di una sana nota vintage è la rivalità tra Stati Uniti e Russia ben presente sul territorio: mentre Putin appoggia il regime di Assad bombardando i ribelli, l’America di Obama li finanzia. Chi si rafforza giorno dopo giorno è l’ISIS di al-Baghdadi, esercitando il suo potere come un vero e proprio stato (offrendo protezione, acqua e corrente elettrica). Quello stesso stato che, grazie al petrolio, guadagna più di tre milioni di dollari al giorno (anche dalla Turchia, a detta del presidente russo).

Sulla Siria, il direttore di Limes Lucio Caracciolo scrive:

“Quel che resta della Siria è la discarica delle tensioni levantino-mediorentali che vi hanno incontrato l’area di minor resistenza – di massima fragilità istituzionale e geopolitica – dove sfogare le reciproche ostilità”.

Umberto De Giovannangeli, nel suo libro “Il Medio Oriente in fiamme”, aggiunge:

“Oggi lo stato siriano, nelle sue formali frontiere, non esiste più. Resiste il regime, che controlla una porzione del territorio e il centro della capitale. Dopo circa 190.000 morti (fonte Onu), centinaia di migliaia di feriti e milioni di profughi, il ‘clan Assad’ è sempre più abbarbicato al potere al cospetto del variegato fronte d’opposizione armata sempre più egemonizzato”.

Perché i ribelli, nonostante l’appoggio dall’America, non riescono a imporsi? Le 100.000 unità anti-Assad sono tutt’altro che un corpo militare unito, al contrario si presentano come una nebulosa composta da gruppi armati e ‘brigate’ operative in diverse regioni periferiche. Anziché pianificare un’idea di governo transitorio, le rivalità personali e l’eterogeneità di queste fazioni hanno preso il sopravvento annullando ogni tipo di coesione politico-militare. Il finanziamento statunitense – fino a 400 dollari al mese per ribelle – è inoltre tra le operazioni più delicate che esistano: il rischio che cellule jihadiste possano infiltrarsi nel cuore della ribellione è alto. Tragicamente, più lo stato islamico cresce più appoggiare una rivolta anti-Assad diventa complicato. Non è un caso se rispetto ai primi due anni di ribellione gli insorti hanno perduto parte della loro profondità strategica.

Oggi, mentre ad Aleppo imperversa il conflitto (cruciale, peraltro), Israele fa il suo ingresso in scena bombardando la Siria per prevenire il trasferimento di armi in Libano dall’Iran. Il futuro è a dir poco incerto. A rimetterci di più, come in ogni guerra, sono i civili. Questo è lo scenario per le strade del paese, da ormai quattro anni. E non è affatto destinato a migliorare:

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.