Chi vincerà gli Oscar?

Chi vincerà gli Oscar?

Il 22 febbraio, al Dolby Theatre di Los Angeles, si terrà l’87esima edizione degli Oscar. Andiamo al sodo: ben 39 film concorreranno per vincere almeno una statuetta, ma solo due – stando alle nomination – sono quelli più accreditati. Parliamo di “Birdman” e “The Grand Budapest Hotel”, primi a quota 9 nella classifica delle candidature. Non è detto, però, che tante chance portino ad altrettanti premi: basti citare il caso di “American Hustle”, film con più nomination lo scorso anno (9), uscito senza neanche una statuetta. Ma procediamo per ordine, tornando al 2015 e ipotizzando, passo per passo, i possibili vincitori di quest’edizione concentrandoci sulle principali categorie.

US-CINEMA-OSCARS

Miglior film: “Birdman”

Riggan Tomhson, attore “decaduto”, va in scena a Broadway per liberarsi di Birdman, ruolo che l’ha reso celebre sul grande schermo nel corso degli anni ’90. Così si evolve la trama di una pellicola che non conosce stacchi, ma si sviluppa in un unico, meraviglioso piano sequenza, accompagnato dal ritmo incessante di una batteria che rende il tutto frenetico, dinamico, vivo. La regia di Alejandro González Iñárritu (più volte vicino all’Oscar, sin dal 2001) trascina lo spettatore, lo diverte e lo ammutolisce, proiettandolo davvero nel backstage di un teatro. Il risultato è fenomenale.

Miglior regia: Wes Anderson – “The Grand Budapest Hotel”

Se Iñárritu va applaudito per lo splendido – ma non perfetto – piano sequenza, Wes Anderson va elogiato per la geometrica perfezione del suo “The Grand Budapest Hotel”. La pellicola è una successione di dipinti sempre privi di sbavature, curiosi, attraenti, curati; incastonati in una cornice che risulta quasi secondaria dinanzi tanto savoir faire. Il film incanta. Wes azzecca tutto, dirigendo la pellicola alla perfezione. La miglior regia dev’essere sua.

Miglior attore: Eddie Redmayne – “La teoria del tutto”

Per trasferire Stephen Hawking dai libri sull’Universo agli schermi del cinema serviva una forte, ma allo stesso tempo delicatissima interpretazione. Eddie Redmayne, classe ’82, c’è riuscito con sincerità, eleganza, coraggio e tanto rispetto. La malattia, l’ironia e la sensibilità del cosmologo più celebre di sempre viene abilmente riportata in un film che eccezionale non è, ma in cui spicca brillante la prova del londinese, già miglior attore ai Golden Globe e ai BAFTA. Neanche a dirlo, manca solo l’Oscar.

Miglior attrice: Rosamund Pike – “Gone Girl”

Innamorata, felice, depressa, perfida, pazza, assassina, cinica, calcolatrice. Se riesci ad interpretare in un solo film tanti stati d’animo contrastanti con successo, l’Oscar pare quasi un diritto inviolabile. Rosamund Pike – protagonista al femminile di “Gone Girl” – si è guadagnata la nomination con infinito talento, in una pellicola travolgente ma non indimenticabile. 

Miglior attore non protagonista: J. K. Simmons – “Whiplash”

Per J. K. Simmons – il J. Jonah Jameson di “Spiderman”, per intenderci – quella di “Whiplash” è la prima nomination agli Oscar in quasi vent’anni di carriera. L’interpretazione di Terence Fletcher, un severo (ed è un eufemismo) direttore d’orchestra ed insegnante alla Shaffer School, è sopra le righe, superba, dolorosa ed intensa. Ricorda, per tantissimi versi, il Sergente Hartman di “Full Metal Jacket”; anzi ne è quasi un’evoluzione, più umana, viva e reale. Il risultato è perfetto, da brividi. Da Oscar.

Miglior attrice non protagonista: Keira Knightley – “The Imitation Game”

Scelta da Alan Turing per lavorare al servizio del Department of Communications inglese (al fine di decifrare i codici usati nelle comunicazioni naziste), Joan Clarke vive e condivide le sofferenze del matematico, di cui è prima amica e poi moglie. La delicatezza del progetto, l’omosessualità di Alan e le violenze della Seconda Guerra Mondiale pongono la donna in situazioni a dir poco provanti. L’interpretazione di Keira Knightley regge le aspettative: si dimostra intelligente e matura al punto giusto, in piena linea col personaggio. Da premiare.

Miglior sceneggiatura originale: “Birdman”

La frenesia del teatro, la follia degli attori, l’imprevedibilità della critica, la perfidia della stampa, il sesso, l’amore, il rapporto tra un padre assente e una figlia scapestrata, il conflitto col proprio passato, la famiglia, il cinema, la popolarità, i social network: la sceneggiatura di “Birdman” è totale. Oltre ai tantissimi temi toccati (mai con superficialità), il film regala dialoghi dai tempi comici azzeccatissimi, ma dalla non isolata profondità, presente anche nei momenti più ridicoli o assurdi. Doveroso l’Oscar.

Miglior sceneggiatura non originale: Anthony McCarten – “La teoria del tutto”

Agli occhi del popolo, per molti anni, Stephen Hawing non è stato altri che un’icona. Chi ne ha letto i libri ne ha apprezzato la genialità, l’assoluta capacità di rendere fruibili argomenti “intrattabili” come la teoria della relatività o la storia dell’Universo. Grazie a “La teoria del tutto” si è fatta ulteriore luce (e chiarezza) su un’eccezionale caso di coraggio, ambizione ed intraprendenza. Nel raccontare le intimità di Hawking via cinema si rischiava di cadere nel ridicolo. Il risultato è stato tutt’altro che deludente.

Fotografia / Scenografia / Costumi / Trucco: “The Grand Budapest Hotel”

Se “The Grand Budapest Hotel” risulta essere un’ordinata successione di dipinti non lo dobbiamo solo all’estro di Wes Anderson. La fotografia di Robert Yeoman, infatti, valorizza ulteriormente i colori sgargianti, accesi e vivi dei protagonisti, rendendoli quasi finti in un contesto solo in apparenza reale. Così le scenografie, i costumi (ad opera dell’italiana Milena Canonero, già 3 volte Premio Oscar) e i trucchi: eclettici quanto godibili, credibili quanto surreali.

Miglior montaggio: Sandra Adair – “Boyhood”

C’è una cosa che rende Boyhood un film diverso da tutti gli altri: è stato girato nel corso di 12 anni, a partire dal 2002, con lo stesso cast di attori che quindi durante le riprese – e durante il film – crescono e invecchiano. Le riprese sono durate in tutto 39 giorni, distribuiti però nell’arco di 12 anni dal 2002 al 2013. Scontato aggiungere quanto il montaggio, a lavoro finito, sia risultato incredibilmente surreale per un’esperienza cinematografica. Da premiare.

Migliore colonna sonora: Hans Zimmer – “Interstellar”

Reduce dai lavori non proprio straordinari di “12 anni schiavo” e “The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro”, con “Interstellar” Hans Zimmer è tornato ad impressionare, ad aggredire lo schermo e ad accompagnare armoniosamente (e coerentemente) la pellicola di Christopher Nolan. La colonna sonora è un viaggio a sé, fatto di ansie, paure, gioia, buio ed incognite. Il risultato è eccezionale. Per il tedesco è la decima candidatura agli oscar, a distanza di 20 anni precisi dal suo primo ed ultimo riconoscimento per “Il re leone”.

Migliori effetti speciali: “Interstellar”

Realizzare con vivo realismo il viaggio all’interno di un gigantesco buco nero non è solo una sfida professionale, ma anche scientifica. Non è un caso se le immagini di Interstellar, dettate da Kip Thorne (uno dei fisici teorici più celebri negli States), sono credibili, affascinanti, persino “studiabili”. Un inno non solo al cinema, ma anche al futuro. 

Miglior sonoro: “Interstellar”

Dovrebbe vincere solo per i tuoni ascoltati via mp3 da Romilly (astronauta, interpretato da David Gyasi) mentre sorvola Saturno dall’astronave. Ci sono però tanti altri motivi, e potete vederli qui.

Miglior montaggio sonoro: “Whiplash”

“Whiplash” – e lo si capisce già dal titolo – è un inno alla musica. Lo è anche al sonoro. La scuola di musica presente nel film regala rumori, tocchi, sinfonie e melodie jazz riportate fedelmente – e senza errori – nelle difficili scene di batteria registrate dai protagonisti della pellicola.

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.