Lasciateci memare

Lasciateci memare

Immaginate se vi togliessero i cori della curva, il rito del biglietto staccato, l’emozione di comporre uno striscione e il proverbiale panino con la frittata addentato all’ombra della Tribuna Tevere. Immaginate se vi strappassero dal collo quella sciarpa indossata da anni un po’ perché “fa bello” ma pure perché all’Olimpico non t’ammazza il freddo, ma l’umidità. Immaginate il tutto mentre fuori il distanziamento interpersonale diventa la regola e lo smart working noiosa quotidianità, in un andirivieni salotto-bagno bagno-cucina emozionante quanto una conferenza stampa di Marco Giampaolo. Il giuoco del calcio resterebbe, è vero, ma colmo di pixel e privo di coinvolgimento; svuotato nella sua inedita veste di gelido spettacolo televisivo con spettatori non più in tribuna ma sul divano. Immaginate. Cosa resterebbe al tifoso della Roma? La libertà di esprimere il suo stato d’animo tramite un messaggio composto da casa, magari al computer di lavoro o se si è più skillati – chiedo subito scusa per il primo di vari neologismi previsti – dal proprio smartphone. Un meme, come dicono i giovani. Lo striscione virtuale del 2021, diremmo noi vecchi. Perché il futuro che vi ho chiesto di immaginare è in realtà il presente e a rendercene conto fa ancora un certo, disarmante effetto.

Dopo la sconfitta con lo Spezia negli ottavi di finale di Coppa Italia la piazza romanista è dilaniata, divisa tra l’indignato e l’incredulo. Non può essere vero. Un nuovo colpo di scena mette a soqquadro le speranze di una stagione iniziata bene e compromessa sul più bello. Ah, maledetto gennaio. L’avevamo detto, in radio e nei bar (tra un caffè bevuto sul tettuccio dell’automobile e una mascherina sporca di cioccolata): occhio alla crisi di inizio anno. Perché il romanista conosce i suoi polli e sa ormai anticipare il male. Non si tratta di scaramanzia, è ciclica e inevitabile attesa. L’abitudine al peggio porta solitamente a due reazioni: vittimismo e autoironia. Del primo ci siamo un po’ stancati, figli del go’ de Turone e degli scudetti pianti sotto i colpi delle settentrionali. Il pianto porta a poco, se non a scoprire ulteriormente il fianco con cugini e lontani parenti che a Natale non aspettano altro che sferrare la classica frecciata per lasciarti esanime al suolo. Diamo un’occasione al sarcasmo allora, quello nei nostri stessi confronti. L’unico con un intento realmente rispettoso. Perché esorcizzare il male con una sana battuta può non solo compattare nella crisi ma pure anticipare lo sfottò esterno. Quando il bullo trova una vittima tanto furba da impedirgli qualsiasi soddisfazione esso cessa di martoriarla. Non c’è gusto a prendere in giro uno che già lo fa da solo e pure meglio.

Il meccanismo, da svariati anni, vale pure per l’ambiente romano. Non quello delle frequenze medie o della carta stampata ma del web, dove una tastiera scorre più veloce di una pistola sceneggiata da Sergio Leone per uno dei suoi eroi puri e taciturni. Che vinca o che perda la Roma è tratteggiata dai suoi tifosi tramite fotomontaggi e finte locandine cinematografiche, fumetti o addirittura doppiaggi video. Una vera e propria industria di normalissimi autori che allestisce una galleria d’arte quotidiana e gratuita, consultabile sul web e promossa tramite i passaparola sui gruppi Whatsapp. Ogni generazione ha i suoi layers di ironia: i sessantenni ridono di concept che farebbero rabbrividire i propri figli e viceversa. Tramite un lessico in costante evoluzione centinaia di romanisti decidono come interpretare e disegnare il momento della loro squadra, nel bene e nel male, in quella che probabilmente è la più commovente forma d’attenzione che una tifoseria possa esprimere in un momento di così tremenda distanza dall’anima dello sport che raccontiamo: il calcio.

“Se memi dopo una sconfitta non sei un vero romanista”, dicono in tanti. Ognuno vive la Roma a modo suo e nessuno dovrebbe avere il diritto di giudicarlo. Le reazioni a caldo sono dettate dal carattere personale e dal proprio vissuto giallorosso. Vissuto, non curriculum, perché le categorie tra romanisti non hanno mai convinto chi romanista lo è davvero. Allora valga il concetto pure per chi mema, nella vittoria e nella sconfitta. Neanche troppo lontano da noi, in Francia, qualcuno combatte in queste ore per la libertà di satira nelle redazioni e d’espressione nelle scuole. Nulla a che fare con le nostre vignette comiche, chiariamoci, ma occhio al principio: un’opera scritta o disegnata non rappresenta un ostacolo, va semplicemente interpretata. Se a produrla siamo noi, popolo romanista, è davvero il caso di fidarsi e dirlo a gran voce: lasciateci memare.

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.