“Dalle società non vedo alcuna presa di posizione”, dice Abete. Anche da queste parole, capiamo quanto questo sia decisamente l’anno del razzismo. O meglio, l’anno in cui la FIGC dà il meglio di se stessa sul caso, chiudendo curve, lanciano moniti, denunciando episodi su episodi che con il razzismo – lo dico da subito – non hanno nulla a che fare.
Come premessa va chiarito, ancora una volta, quanto il razzismo negli stadi non esista. O meglio, sicuramente c’è (forse negarlo è eccessivo), ma si manifesta sotto forma di sfottò, di sfogo, di dispetto nei confronti – è vero – di giocatori di colore o, nel più raro dei casi, di giocatori nati da un preciso luogo o regione. Sfottò, dicevamo. Cori, striscioni, screzi verbali che il calcio conosce da quando sulle maglie c’era solo il numero e non il nome, da quando sugli spalti trovavi tamburi, megafoni e feste di ogni tipo. Da quando, insomma, tifosi, gruppi organizzati, ultrà tendono in gruppo (è bene sottolinearlo) a sminuire l’avversario, o a farlo innervosire. Combattere il razzismo negli stadi, ad oggi, è una totale perdita di tempo, e lo dimostra un dato:
- Oggi, 2013, la totalità degli ululati provenienti dagli spalti sono opera di tifosi che tifano – e festeggiano – giocatori di colore proprio all’interno della loro stessa squadra.
Aggiungo: non solo combattere il razzismo negli stadi è inutile, ma è anche nocivo e ipocrita nei confronti di chi, il razzismo, lo subisce realmente in ben altri contesti o situazioni. Sui campi da gioco chi si deve sentir dare del “negro” subisce la stessa “ingiustizia” di chi deve sopportare gli insulti a madre e sorella di turno (vedi il caso Diamanti-Roma), o di chi è puntualmente chiamato “pornostar” (vedi Mexes). Di esempi simili se ne trovano a migliaia, eppure solo chi di color scuro perisce si permette puntualmente di protestare a gran voce, non facendo altro che ingigantire una situazione prevedibile, da affrontare con totale indifferenza. La finisca la FIGC di condannare episodi visti e stra-visti, di denunciare “gravi casi di razzismo” solo perché il Balotelli o il Boateng alzano la voce. Quei tifosi, nella vita, con molte probabilità neanche si professano razzisti. Ma sugli spalti, si sa, la presa in giro è dietro l’angolo. La soluzione del “problema” non sta nel dichiarar guerra alle curve di tutt’Italia, sta nel ridimensionare chi si sente offeso da un fenomeno che c’è e sempre ci sarà, che in sé non porta di certo cattiveria o discriminazione. Porta solo goliardia. Lo si accetti in quanto tale, tacendo, una volte per tutte, ipocrisie e prese in giro.