Da Churchill a Brexit, l’Unione Europea che nasce e muore in Inghilterra

Da Churchill a Brexit, l’Unione Europea che nasce e muore in Inghilterra

Il concetto di Europa, e poi di Unione Europea, è cambiato negli anni. A decidere le interpretazioni di un concetto così vasto è il tempo, motore puntuale e beffardo di una chiave di lettura in continuo mutamento. La storia, dopo la Seconda Guerra Mondiale, lasciava il mondo tra le macerie di un continente – il vecchio continente -, pronto a mangiare confini altrui per interessi meramente economici nonostante le disastrose conseguenze di un’insensata nonché catastrofica Grande Guerra. Con l’uscita di scena del Regno Unito dall’UE grazie alla vittoria del Leave nei risultati del Brexit, sulle prime pagine di tutto il mondo balzano alle cronache preoccupazioni finanziarie, giochi di borsa, contro-referendum, trattative e giochi di potere volti solo a lasciarsi alle spalle al più presto un colpo basso, bassissimo per tutti i paesi membri.

Ciò che passa in secondo piano – e non soltanto da ieri – è il carattere morale di chi sogna (e sognava) gli Stati Uniti d’Europa. Settant’anni fa, a Zurigo, proprio un inglese gettava le basi di un progetto non più utopico, ma reale: “Esiste un rimedio che in pochi anni renderebbe tutta l’Europa libera e felice: la ricostruzione della famiglia dei popoli europei […] dotata di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza ed in libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa”. Winston Churchill, ex ufficiale dell’esercito, corrispondente di guerra e Primo ministro britannico (1940-45 e 1951-55), risulta tra i primi esponenti politici di un certo rilievo a voler voltare pagina da subito, fondando un’unione pacifica prima che economica, capace di curare le cicatrici dei sopravvissuti, di animare le speranze dei più deboli.

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Con la caduta del Muro di Berlino, l’implosione dell’Unione Sovietica e l’adozione della moneta unica da 19 dei 28 Stati Membri dell’Unione, quella speranza chiamata Europa unita sembrava affacciarsi con ottimismo nelle case dei cittadini, prima di esser bruscamente interrotta dalla grande recessione del 2007. La crisi dei mutui statunitense, attaccata prima alle banche inglesi e poi a quelle europee, costringe invece l’Unione a ridimensionarsi, alzando il muro della spending review, della gestione economica del debito e di una crisi che – per via delle falle nel sistema finanziario europeista – fatica a passare. Il tutto, lasciando gli Stati Membri nell’oblio dei nazionalismi più accesi (Farage, Le Pen, Salvini in primis). Così, il sogno di Churchill muta lentamente in un meccanismo pecuniario costretto a porsi sulla difensiva, privo di sogni e pregno di colpe irrisolte. C’è chi ha dubitato dell’UE per sfiducia, ma le unioni – insegna la storia – vogliono tempo. Scegliendo l'”indipendenza”, la Gran Bretagna spezza un sogno. Eppure, quella stella volata via dalla bandiera potrebbe scatenare la reazione tanto attesa: più attenzione al lavoro, allo stato del welfare, a un’identità comune e meno individuale. Una reazione che onori le parole di un inglese reduce dai dolori di una guerra, e oggi – chissà – ancora dalla parte del Remain.

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.