Perché è sbagliato abolire i finanziamenti pubblici ai partiti

Perché è sbagliato abolire i finanziamenti pubblici ai partiti

Da Grillo a Bersani, da Renzi al PdL, l’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti si propone, si discute, ma mai si attua. Vuoi per l’ingovernabilità, vuoi per i tecnici, vuoi per un referendum ignorato, l’abolizione resta un concetto astratto; oggetto, se capita, di discussione, ma che improvvisamente – specie in campagna elettorale – può tornare comodo. E in propaganda, effettivamente, è tornato utile a molti. Utile per cavalcar l’onda di un popolo che di favorire economicamente partiti corrotti od inefficienti non ne vuol più sentire, utile per sostener l’idea del “tutti a casa”, utile per fomentare, ancor di più, l’italiano svilito dall’IMU, che di dare il proprio danaro a chi ricambia con diversa moneta proprio non ne vuol sapere. Utile, insomma, per acchiappar voti.

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I COSTI – Eppure la politica non è fomentare: è ragionare. E ragioniamo quindi sul concetto puro, non stravolto. Come scrive Il Post “fare politica costa. […] Costano gli affitti delle sezioni, dei teatri e delle sale in cui tenere le iniziative politiche, costano i telefoni e i manifesti, costano i viaggi, le campagne di propaganda, costano gli spot, costano gli uffici per organizzare l’attività di un partito, costano i dipendenti”. Spese doverose, per un partito che oggi deve impressionare, affascinare, conquistarsi l’elettore. La politica ha quindi dei costi, spesso insostenibili da chi, la politica, non può farla da miliardario.

L’ERRORE – La politica non è accettazione, bensì partecipazione. Il partito si fa interprete della volontà popolare  in Parlamento, dove delegati – scelti dal cittadino – devono riportare, rappresentare l’elettore. Nel suo concetto primordiale il partito è lo strumento di contatto tra lo Stato e il suo cittadino. Con l’abolizione dei finanziamenti ai partiti, lo Stato uscirebbe delegittimato, quasi offeso nella sua autorità. Ci sarebbe un distacco. Senza appoggio economico (minimo, ma presente) si rischierebbe inoltre di favorire solo la politica di moneta, non di passione. Che oggi il partito si faccia tutto fuorché interprete del cittadino è tristemente ovvio, ma abolire con violenza l’appoggio dello Stato – e quindi del cittadino – nei confronti del partito sarebbe un errore.

RIDIMENSIONAMENTO E GIUSTIZIA – Cosa fare, quindi, dei finanziamenti pubblici? Ridimensionarli, assegnarli in base all’entità dell’elettorato – come in Francia – o in base alle attività del partito. Stabilirne un tetto massimo. Stilarne dei bilanci pubblici, trasparenti, a portata non solo del partito, ma del pubblico cittadino. Se aboliti, mantenerne almeno i rimborsi spese (con annessi bilanci in chiaro). Dulcis in fundo punire, severamente, chi di quei finanziamenti fa un tornaconto personale. Perché finora, di punizioni come si deve, la giustizia italiana ancora non ne ha infierite. E forse è da lì che il problema nasce, si sviluppa, e sceglie – ahimè – di non morire.

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.