Perché Interstellar è una lode al cinema

Perché Interstellar è una lode al cinema

Alle soglie del 6 novembre, da “Interstellar” ci si aspetta molto. Troppo? Affatto. Il nono film di Christopher Nolan vive, soffre, gioisce, ma soprattutto ragiona con lo spettatore. Lo segue, lo istruisce, lo attira fino alla fine nonostante l’estenuante – ma sopportabilissima – durata di 169 minuti. È senza ombra di dubbio l’opera ‘matura’ di Nolan, per la prima volta alle prese col fantascientifico più puro, dopo averlo affrontato a tratti nella stesura di “The Prestige” (2007) e di “Inception” (2010). È, con coraggio, un progetto che sceglie di puntare nuovamente sullo spazio nonostante il recente exploit di Cuarón con Gravity, che neanche otto mesi fa ha sbancato agli Oscar (sette statuette) parlando proprio del grande buio. Con “Interstellar”, però, Nolan non vuol parlare di detriti spaziali, né tanto meno del nostro tempo. Vuole concentrarsi su un futuro indefinito e senza speranza per i terrestri, ormai ridotti alla fame dalla loro stessa casa: la Terra. Vuole concentrarsi su una tematica mai affrontata prima: i wormhole. Ed ecco che il film dà vita all’eroe che fugge per salvare i suoi stessi figli. L’eroe scientifico, dalla spiccata umanità. L’eroe che, come sempre del resto, è a caccia di risposte. Per sé stesso, ma anche per l’obiettivo principale della sua missione: evitare l’estinzione dell’umanità.

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LA REGIA – Affrontare lo spazio, anche solo dalla macchina da presa, non è impresa facile. Se prima di arrivare ad “Interstellar”, Nolan ha svolto un percorso ben preciso di crescita, d’esperienza e di apprendimento non è un caso. Per complessità, ambizione e resa, questa pellicola scalza “Inception” – che pure aveva picchi notevoli – e di gran lunga “i tre” Batman. La storia, che ovviamente nasce e si sviluppa sulla Terra, trova poi un bivio, che porta la trama a viaggiare abilmente su due piani paralleli: la vita nel buio e quella sul nostro pianeta. Come accade spesso, uno dei due filoni narrativi può piacer meno dell’altro, eppure la trama permette ai due livelli di intrecciarsi armoniosamente, pur essendo lontani l’uno dall’altro anni luce. Se Tim Grierson, dello Screen Daily, ha definito il film “pericolosamente vicino alla durata di tre ore”, va detto che il rischio di stressare c’è ed è ben presente, ma questo mastodontico infinito non porta mai lo spettatore a chiedersi che ora sia. A Nolan ben riesce la volontà di dare al pubblico un senso di avventura interminabile che trascende dal tempo, che gioca col tempo, che vive nel tempo. Il viaggio iper-spaziale, i buchi neri, una galassia su cui vivere che non sia la nostra: le tematiche di Interstellar sono reali e tutt’altro che fantascientifiche. Sono frutto di studi accurati che da decenni dividono i principali astronomi mondiali. Il cinema non ha la responsabilità di dare delle risposte, ma ha il dovere – di fronte a casi come questo – di rispettare determinati dati scientifici. Nolan non solo li rispetta, ma li rende fruibili al pubblico. E se vi riesce con così tanto successo deve dire grazie anche a suo fratello, Johathan Nolan.

L’IDEA – È il 2006 quando – secondo Variety – la Paramount Pictures sceglie Steven Spielberg per dirigere un film di fantascienza basato sul principio della possibilità di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso un buco nero. Sin dal 2007 – prima che il progetto fosse affidato dalla Warner Bros al fratello maggiore – Jonathan Nolan inizia a metter mano alla sceneggiatura, traendo ispirazione (e lezioni) dal principale esperto al mondo in questione: Kip Thorne. “Per fortuna abbiamo avuto Kip – ha detto Jonathan in un’intervista ufficiale –la massima autorità su tutto ciò che è gravitazionale”. E fa bene a parlare di fortuna: intento di Christopher era quello di dare al pubblico un film che parlasse di scienza ma che allo stesso tempo fosse comprensibile a tutti, sia grazie al visivo – campo in cui il regista ha già ampiamente convinto – sia grazie ai contenuti. Il mix è sorprendente: per quanto il campo fantascientifico lasci quasi sempre spazio ad irregolarità o a vuoti inspiegabili di sceneggiatura, lo scorrere degli eventi all’interno di Interstellar appare – anche se del tutto paradossale – sempre coerente, sempre spiegabile, sempre logico grazie alla duttilità teorica di concetti come il tempo e la gravità.

IL CAST – Con la scelta di Matthew McConaughey nel ruolo del protagonista, Nolan corre un alto, altissimo rischio. Puntare sull’Oscar al miglior attore è come sempre una lama a doppio taglio: o è in calo rispetto al lavoro precedente (e la possibilità è alta, data la caratura di “Dallas Buyers Club”) o bissa clamorosamente l’interpretazione. Siamo nel secondo caso. McConaughey, pur trovandosi dinanzi al ruolo più che complesso di Cooper, regala un’interpretazione completa, che imprime profondità ad ogni emozione vissuta, ad ogni sospiro di sollievo, ad ogni lacrima versata, ad ogni minuto trascorso nello spazio e che sulla Terra può costare un anno. A fargli compagnia c’è Anne Hataway, fredda e razionale al punto giusto, figlia del prof. Brand, interpretato al meglio da un favoloso Michael Caine, straordinario attore-feticcio di Nolan. Da menzionare anche Mackenzie Foy e Jessica Chastain, nel ruolo di Murph – la figlia di Cooper – rispettivamente da bambina e da adulta. E per chi crede sia stato tutto merito del green screen, il grande lavoro sul set di Interstellar vissuto dal cast lo si capisce dalle parole dello stesso protagonista: «La parte più dura sono state le riprese in Islanda, dove dovevamo camminare su un ghiacciaio in una tuta da 15 chili con il vento a 80 km l’ora, e quelle a gravità zero, in cui ero appeso a 20 metri di altezza. È stato faticoso stare appeso per ore. Ogni volta che guardavo giù il mio battito cardiaco aumentava». Come il cuore dello spettatore in sala.

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LE MUSICHE – Hans, Hans e ancora Hans. Dopo la trilogia del Cavaliere Oscuro e “Inception”, Nolan e Zimmer si ritrovano per costruire insieme il film assoluto. C’è intesa tra i due? Sicuramente. È la migliore di sempre? No. Perché con Batman il compositore tedesco è riuscito a dettare le linee guida del prodotto, mentre qui si è limitato – con grandioso talento – a descrivere ed accompagnare la trama del film con discreta originalità, armonia e dolcezza, quasi a voler spegnere l’ansia eccessiva presente in molte scene. Lo conferma lo stesso Nolan: “Ci sono momenti in cui Hans sceglie un approccio delicato ed intimo con la musica […] che è un modo molto naturale per attirare l’attenzione del pubblico”Va aggiunto – finalmente – d’aver ascoltato un’Original Soundtrack alla sua altezza, dopo i risultati deludenti concepiti in “The Amazing Spiderman 2” e tutt’altro che grandiosi di “Man Of Steel” qui un assaggio dell’OST.

2001? – Il paragone – seppur scomodo – c’è e va fatto, ma solo nelle aspettative. Accostare “Interstellar” a “2001: Odissea nello Spazio” è ingiusto. Sì, ci sono degli omaggi, ma il lavoro di Nolan prende le distanze da quello di Kubrick ponendosi su premesse ben diverse. C’è il robot, ma il ruolo è piacevolmente opposto. C’è una stanza (non d’hotel, stavolta) alla fine dell’iper-viaggio. Però il film del ’68 è freddo, disumano, surreale. “Interstellar” ribolle d’umanità, di sentimenti, di realismo e – soprattutto – di basi teoriche, al contrario di “2001”, che è una piacevole nonché egoistica visione del regista. Ciononostante, quella visione futurista, seppur gelida, contiene più magia, più sogno e più speranze, dettate indubbiamente da tempi migliori. Di certo, per molto tempo, i due film si contenderanno il ruolo di miglior opera fantascientifica di sempre.

“Interstellar” va visto perché è una lode al cinema, un omaggio alla scienza, un dono della tecnica ed un inno al talento. Anche se smielato e spiazzante per alcuni versi – ignorabili, dato che al cospetto del tutto ricoprono una percentuale irrisoria – il colossal di Nolan è tra quei film da custodire amabilmente nel proprio cassetto dei dvd. Vederlo al cinema? Un obbligo, considerando il formato IMAX in 70mm della pellicola. Rivederlo una seconda volta? Una chance da prendere in considerazione. Perché di sicuro qualcosa è sfuggito, e di quest’avventura non deve sfuggire davvero, davvero nulla.

Pubblicato da riccardocotumaccio

Speaker, autore, giornalista e presentatore: il tutto in un solo uomo, pensate.