Ma veniamo alla risposta più frequente di tanti italiani alle mie e nostre riflessioni sull’operato di Giuseppe Conte: sì, ma dove sono i soldi?
Partiamo da una premessa: alcune categorie di lavoratori – giornalisti, per esempio – hanno già incassato il bonus di 600 euro. Parlo di testimonianze dirette, esperienze personali.
Ebbene esiste un decreto liquidità, il cui testo è stato pubblicato due giorni fa in Gazzetta. Prevede 200 miliardi di euro per prestiti alle imprese garantiti fino al 90 per cento dallo Stato. La garanzia, che verrà data tramite Sace (una società pubblica controllata da Cassa Depositi e Prestiti) potrà riguardare tra il 70 e il 90 per cento dei prestiti, a seconda delle dimensioni delle imprese che li chiederanno, e potrà essere usato solo per finanziare attività produttive in Italia. Altri 200 miliardi di euro saranno usati come garanzie per le esportazioni, sempre tramite Sace.
Il timore di molti imprenditori è che le procedure richiedano almeno due-tre mesi, soprattutto se il via libera della Ue e il software Sace per la delibera dei finanziamenti non arriveranno in tempi rapidissimi.
I numeri – scrive Il Sole 24 ORE – sono imponenti: il Centro Studi Confindustria stima «in uno scenario di fine epidemia a giugno, il fabbisogno di liquidità nel 2020 in 30 mld di euro, di cui gran parte necessari tra aprile e giugno».
Come suggeriscono non solo i soggetti chiamati in causa – tutti sovranazionali, piaccia o meno – e le cifre mostruose citate, la mancata disponibilità di sostegni economici non può essere imputata al Presidente del Consiglio, bensì a un sistema economico completamente inadatto alle tempistiche di una pandemia e incline alla paralisi.
C’è inoltre un doppio tavolo aperto in ogni stato membro dell’Unione, quello nazionale e internazionale. Forze politiche si scontrano all’interno dei propri confini – basti citare il caso Mes in Italia – e al di fuori degli stessi, contrapponendo teorie economico politiche dagli esiti incerti perché racchiuse nell’inedita bolla sociale del Coronavirus.
Secondo diversi imprenditori il decreto sarebbe complicatissimo. La partita è in mano alle banche, servirà qualche giorno perché si entri nella fase operativa. “In Europa però – sostiene Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria – si comincia ad avere consapevolezza delle problematiche in essere, grazie anche all’asse francese, italiano e spagnolo”.
Attenzione a un ultimo dato: nessun paese europeo ha ancora testato le misure di sostegno economico diretto ai propri cittadini. Gli interventi adottati sono per ora tutti abbastanza simili, e si muovono intorno a tre filoni: proteggere i posti di lavoro (utilizzando strumenti simili alla cassa integrazione italiana), impedendo i licenziamenti e aiutando le imprese a pagare gli stipendi; facilitare il credito alle imprese da parte delle banche; sostenere i redditi delle famiglie.
Secondo le stime del centro studi Bruegel, la Germania surclasserà il resto d’Europa nel suo intervento per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia, con una spesa totale – tra interventi diretti e garanzie – pari al 50 per cento del PIL. Seguono Francia e Italia, con una spesa tra il 25 e il 20 per cento del PIL. Ovviamente – scrive il Post – tutti questi piani sono da considerare parziali e soggetti a revisioni: il governo italiano, per esempio, ha già detto che intende approvare nuove leggi e stanziare nuove risorse oltre a quelle già decise.
Concludo: qualsiasi esecutivo avrebbe avuto le difficoltà che sta affrontando quello attuale. Attaccarlo sul personale in virtù dei bonifici in ritardo non solo è meschino sul piano politico, ma tutt’altro che costruttivo dal punto di vista argomentativo.